Cartaceo o digitale?

a cura di Andrea Mauri

La domanda ricorrente tra scrittori curiosi del lavoro dei colleghi torna puntuale a ogni incontro. Li immaginiamo seduti al tavolino di un caffè, che diventerà ben presto letterario grazie alla loro assidua frequentazione. Ebbene, seduti a sorseggiare chissà quale diavoleria alcolica del barman, quella domanda aspetta il momento opportuno per essere pronunciata. Arriva a bruciapelo e infastidisce il gruppo, gli rovina il pomeriggio. Suona così: come preferisci scrivere? A mano oppure al computer?

Anche lo scrittore più navigato si smarrisce di fronte alla risposta da dare. E’ disorientato, proprio come davanti alla classica stupida domanda: vuoi più bene a mamma o a papà?

Che razza di domanda sarebbe? Scrivo come mi pare, come meglio mi suggerisce la giornata, il luogo, la scena che devo inventare. Ma non si può evocare una soluzione salomonica al dilemma, bisogna prendere posizione, gli scrittori sanno che un professionista della parola ondivago non vende. Quindi giù a inventarsi una risposta plausibile.

Scrivere a mano sviluppa la fantasia, tiene in esercizio il cervello, offre risultati qualitativamente superiori ad altre forme di stesura. Vedi? , dice uno degli scrittori al suo amico sedutogli accanto, mentre sorseggia un calice pieno di liquido azzurrognolo, porto sempre con me un taccuino che riempio di idee, emozioni, visioni, sensazioni. Guarda, ho le pagine fitte fitte, conosco a memoria tutto quello che ho scritto e il punto preciso dove trovarlo. Sulla carta i racconti scorrono veloci, sembrano non fermarsi. I personaggi della storia guidano la mano sul bianco delle righe o dei quadretti, ti sottraggono il respiro sino a quando non si arriva a scrivere la parola fine in fondo al foglio.

Chi te lo fa fare, risponde l’altro. E’ una perdita di tempo. Doppio lavoro. Perché poi dovrai trascrivere gli appunti al computer. Come faresti altrimenti a raggruppare il materiale? Sei sicuro di capire quello che hai scritto? Così di primo acchito sembrano geroglifici i tuoi.

Osservare le frasi comporsi sul foglio, seguire le lettere che si ammorbidiscono sulla carta mi dà sicurezza. So che quello che sto scrivendo, non potrò cambiarlo. Mi mette al riparo dall’ansia di revisionare il testo fino all’infinito, senza mai trovare la forma e la sostanza che mi soddisfa. Sul taccuino, la storia rimane come l’ho buttata giù.

Sarà, risponde il terzo convitato. Non negherai però che spesso abbiamo l’esigenza di posporre un aggettivo a un sostantivo, di trasformare il discorso indiretto in diretto. Sulla carta come fai? Ce lo spieghi? Aggiungi lavoro ad altro lavoro con il risultato di perdere la visione d’insieme della storia e di doverti giustificare con l’editore per i ritardi nella consegna del manoscritto.

Ecco, un pomeriggio letterario di questo tenore potrebbe durare giorni interi, senza venire a capo del dilemma. Comunque la metti, la questione pare irrisolvibile. Vale anche per gli scrittori il detto latino in medio stat virtus?

E voi come preferite scrivere?

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