Uovo di Pasqua

uovo-di-pasqua-doppioEsco dall’ufficio per fare due passi e incrocio quest’aria primaverile, pre-festiva, pre-pasquale. Si respira la voglia un po’ forzata di voler far festa… senza troppa convinzione. Sarà questa crisi di cui ci si lamenta come un loop che non termina mai. Saranno le notizie degli ultimi giorni da Bruxelles che ci ricordano che viviamo un momento difficile, in cui – mi chiedo – che ci sarà mai da festeggiare.

Sarà che le feste comandate non le ho mai amate… fin da bambina mi impregnavano cuore e mente di melanconia. Come può un bambino provare melanconia? Di cosa? Ha così poco passato e tutto il futuro davanti.

Io ci riuscivo. Non so dire il perché. Non so di cosa avevo melanconia. La sensazione che da un momento all’altro avrei perso tutto ciò che avevo. Non giocattoli o altri oggetti: il presente, quel presente, quei momenti, quegli affetti. Ne sentivo la mancanza, la nostalgia, senza aver mai potuto provare come sarebbe stato senza.

Esco. In questa via che conosco da sempre, ho visto mutare nel tempo mentre la mia stessa pelle cambiava. Incontro un cliente, restauratore di “vecchie glorie”… scooter d’epoca. Mi mostra il copri-ruota di scorta che gli ho stampato di recente, montato su una 50 special bianca. Ne ho avute due prima di passare al 125; esattamente come questa, bianche. Le mie avevano il contachilometri – a questa manca – la sella lunga e il marmittino elaborato: li ho fatti montare prim’ancora di ritirarle dal Concessionario Piaggio di Rivoli. Era cliente della filiale dell’Istituto Bancario San Paolo, di cui mio padre, ai tempi, era direttore. Ho comprato da lui le mie tre Vespe: mi permetteva di pagargliele un po’ alla volta, man mano che riuscivo a racimolare i contanti con paghette e lavoretti saltuari.

Quanti anni son passati? Quanta vita se n’è andata! Siamo alla vigilia di Pasqua e allora ne cerco almeno una fra i ricordi. Non so: un uovo più grande, una sorpresa più bella… una pasquetta più divertente. Nulla che la mia memoria abbia voluto privilegiare, pronta ad essere estratta fra botti umide e fogli ingialliti, per ripropormela oggi romanzata.

Le feste non mi entusiasmavano neppure da giovane, non auspicavo neanche a tirar tardi fuori casa ché tanto mio padre non me lo avrebbe mai concesso. Si programmavano scampagnate, puntualmente disdette dalla pioggia che ha sempre amato il lunedì dell’angelo. E se pure qualche anno era fortunato, non era molto diverso dagli altri giorni: correvo nei prati tutti i pomeriggi per almeno sei mesi l’anno.

“Quand’ero bambina…”: tutte le nonne hanno una Pasqua da raccontare alle nipotine, come una favola un po’ strampalata. Io non ce l’ho. Sarà uno scudo di difesa che ha elevato il mio cervello per scacciare la melanconia che m’assale quando la sera tu, mio padre, mi chiami tre volte al telefono perché non sai dove hai messo la tua agendina e nella quarta mi informi che l’hai trovata?

I ricordi a volte feriscono come frecce affilate dal tempo, ma non so farne senza: mi scorrono nelle vene come linfa vitale.

Carpe diem. Stasera – ho deciso – andrò al Cinema Fratelli Marx, danno un noir su Pasolini, con Massimo Ranieri.

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