La strada

di Cormac McCarthy

Da sempre, la semplicità va a braccetto con la bellezza e l’eleganza. Concetto replicabile nel mondo della scrittura dove, una storia lineare e diretta, accompagnata da una stesura agevole, rende un romanzo pregevole e degno di attenzione.

Partiamo dal titolo, La strada: un approccio che tutto contiene, un cammino verso la luce, la vita, la speranza. Cormac McCarthy ci delizia con un’opera forte e potente in cui i nomi, le cause, i perché, sono lasciati alla libera lettura e interpretazione del lettore.

Siamo in un mondo indefinito e post-apocalittico in cui una catastrofe, un’immane disgrazia – naturale ma anche umana, come un terremoto, una guerra o altro –, hanno lasciato solo sconfinate rovine. Tra la distruzione di un mondo bruciato e devastato, ridotto in cenere, muovono i passi, i due protagonisti: un padre e il suo bambino. Sono personaggi imprecisati ma carichi di tanta passione per la vita. La loro meta è l’oceano dove pensano di trovare il calore e la luce di un sole in grado di esprimere ancora esistenza umana e speranza. Trascinano con loro uno sgangherato carrello contenente le poche provviste disponili; il simbolo di una disfatta annunciata, laddove è sempre e solo l’uomo a trainare un destino che non può mai essere dominato da macchine e scienza ma sempre e solo dalla forza e dall’intelligenza umana.

McCarthy impreziosisce la sua profonda narrazione con spunti e dialoghi di grande effetto e portata emotiva. Ci sono i riferimenti a un Dio che stenta a farsi vedere; la presenza del bambino dovrebbe essere il suo verbo, diversamente Dio non avrebbe mai avuto parole. Il coraggioso cammino in un mondo devastato e ai limiti del reale, è accompagnato dalla grande bellezza di dialoghi che hanno tanto di umano e ben poco di inutili costruzioni artefatte. Ovunque, a perdita d’occhio, si percepisce un perenne e costante scenario di morte e cenere. Tutto è dipinto di grigio e nero… intorno, nessun segno di vita. “Perché noi siamo i buoni”, “Si”, “E portiamo il fuoco. Si”, “Ok”. Sì, proprio il fuoco che diventa simbolo di forza e sopravvivenza: dirada le tenebre, sconfigge il freddo, cura una dilagante e inevitabile malinconia. In un assurdo destino, nel totale abbandono, tutto perde di significato. Persino i ricordi e le cose di un tempo, inseriti nella distrutta realtà, perdono l’identità per sprofondare nell’oblio. I protagonisti combattono duramente per sopravvivere. Al problema della fame e del freddo, si aggiungono i non facili incontri con superstiti uomini cattivi. Sì, ci sono anche i cattivi.

McCarthy fornisce un ulteriore spunto di riflessione: nella disperazione, piuttosto che sviluppare la solidarietà e il pacifico, reciproco sostegno, si sposano sentimenti legati alla peggiore ferocia e crudeltà umana. Una sorte di “morte tua, vita mia”. Nel loro cammino, i due protagonisti fuggiranno da tali pensieri, non mangeranno le persone, per niente al mondo.

Mi piace collegare questa importante lettura a “Cecità” di Jose Saramago. Anche qui, un’inspiegabile malattia rende ciechi, e quindi cattivi, gli uomini. Nel buio scatenato da una forza imprecisata, si sviluppano le peggiori crudeltà e disumanità. In entrambi gli scritti, non è rilevante la motivazione del male o della distruzione; ciò che conta è l’analisi di una pessima civiltà umana che si sbriciola di fronte ai terribili problemi che pone il destino. L’uomo, con tutta la sua presunta e scontata perfezione, vacilla, crolla; il suo mondo scricchiola e si apre a un baratro già ampio e pronto a inghiottirlo. Si fa il gioco del male, agevolandolo nel suo crudele lavoro. L’uomo di McCarthy, però, ha una missione da compiere: deve proteggere la vita del figlio pur vivendo la verità di un mondo morto senza testamento. Non ha speranza ma la cerca disperatamente, anche di fronte alla fine. Sfiniti dagli stenti, aggrediti dal freddo, dormiranno sempre più a lungo; quasi ad accogliere il sonno della morte. Finalmente il mare! Grigio e scuro anch’esso. “Non mi lasciare la mano”, “Ok”, “Qualunque cosa succeda”, “Qualunque cosa succeda”.

In un epilogo struggente ma ricco di significato, riappare la fioca luce della speranza: forse la vita può ripartire anche dalle cattive ceneri di un mondo distrutto. In fondo, l’uomo ha inventato l’uomo. Incoraggiato dal padre ormai distrutto, il bambino porterà avanti il suo fuoco perennemente acceso nel buio e alimentato dall’immenso amore paterno. Forse si può ripartire solo se ci sono gli uomini buoni, con i quali incamminarsi lungo la strada. Un romanzo duro, ipoteticamente vero, che apre gli spazi alle riflessioni più profonde tra cui, la più importante, è legata al maggior pericolo che l’uomo può incontrare lungo la strada dell’esistenza: se stesso.

Cormac McCarthy è uno scrittore, drammaturgo e sceneggiatore statunitense. Nato nel 1933, ha iniziato a scrivere racconti nel periodo universitario. Nel 1965 pubblica il suo primo romanzo Il guardiano del frutteto. Seguiranno Il buio fuori, Figlio di Dio, Suttree, ed altri ancora. Con La strada, pubblicato nel 2007, McCarthy vince il Premio Pulitzer per la narrativa. Il romanzo, ha vinto anche il Premio Memorial James Tait nero per la narrativa.

Viene considerato uno dei più grandi scrittori della narrativa contemporanea statunitense. Attualmente vive nel Nuovo Messico.

Titolo: La strada
Autore: Cornac McCarthy
Editore: Einaudi
Pubblicazione: 2007
pag.: 218
Costo: € 18,00

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