cinque anni

Cinque anni addietro, a quest’ora, ti avevo portato a casa una serie di pentole e padelle nuove. Erano terminati i lavori di rinnovamento della tua cucina, che avevi tanto desiderato, e volevo che rinnovasti anche il set di pentole ormai troppo consumato. Le mie figlie avevano trascorso il pomeriggio a sistemare le stoviglie nei nuovi mobili, seguendo le istruzioni che tu gli davi.
Dopo alcuni giorni in cui eri molto presa da quella che fino ad allora sembrava la solite bronchite annuale, improvvisamente giovedì (era il 14 anche allora) ti sentivi meglio. Pareva proprio che il tuo corpo stesse vincendo. E pensare che, solo poche ore prima, gli esami avevano rivelato una diagnosi inaspettata: una brutta polmonite batterica. Sandro, Grazia e un’altra dottoressa sia erano consultati vicendevolmente e avevano optato per due antibiotici, nonché una serie di vitamine. Babbo si era immedesimato nel ruolo di tuo infermiere personale e, in attesa di Rita, si prodigava nel somministrarti iniezioni e integratori vitaminici.
Ma quel giovedì sera tu stavi molto meglio. Continuavi a parlarmi di quanto un bambino in arrivo fosse sempre una felicità, per rincuorarmi dai mille dubbi e paure sulla gravidanza che mia figlia da pochi giorni m’aveva comunicato. Io guardavo il tuo sorriso e la gioia che esprimevano i tuoi occhi e, se pensavo che non capivi la serietà delle mie preoccupazioni, contemporaneamente mi dicevo che avrei voluto somigliarti e saper un giorno essere per il nipotino in arrivo (che qualche mese dopo scoprimmo essere invece Nadine) la nonna che tu eri sempre stata per i miei figli e gli altri tuoi nipoti.
Mi confidasti la volontà di, appena ti saresti ripresa (questione di qualche giorno), ricominciare ad andare al mercato ogni giorno e uscire più spesso; negli ultimi anni, nonostante che io e babbo cercassimo di spronarti, ti rifugiavi fra le mura domestiche e per strada ti sentivi poco sicura.
Sono trascorsi cinque anni da quel giovedì sera in cui t’osservavo aver ritrovato la voglia di “vivere”; avevi persino accettato la proposta di babbo per il viaggio a Roma, l’incontro col Papa, organizzato dalla parrocchia. Lui aveva immediatamente dato l’adesione, dopo anni che attendeva quel tuo “sì”. Avreste colto l’occasione per andare a trovare Sean, che da qualche mese si era trasferito.
Raccontano che poco prima della fine, una strana energia torna per un’ultima volta a riprendersi la vita. Quello fu certo il tuo momento, anche se nessuno di noi poteva neppure immaginarlo. A maggio all’aeroporto avrei accompagnato solo babbo anche se, per la verità, in quel viaggio non fu solo: da quando non sei su questa terra, non ha mai smesso di “viaggiare” con te e portarti dentro. Ma quel giovedì sera ancora non lo sapevo.
Il giorno successivo la situazione precipitò; il team dei medici che ti seguiva non si capacitava come i farmaci parevano scorrere nel tuo corpo come acqua fresca. Eppure nessuno aveva previsto che quelli sarebbero stati i tuoi ultimi giorni. Solo quattro sere dopo, quando t’ho visto addormentarti dopo un cenno di saluto ed un segno della croce – non so neppure se t’eri accorta che ero lì, a pochi passi da te – avrei realizzato che i tuoi occhi non si sarebbero più riaperti ed eri partita per un viaggio senza ritorno. Gli altri non capivano le mie lacrime. Solo con Sandro, quando arrivò in quella stanza mezz’ora dopo, con uno sguardo ci comunicammo ciò che sapevamo entrambi. A nulla sarebbero serviti i richiami con cui per tutta la notte cercai di richiamarti indietro e, prima dell’alba di martedì, mentre preparavo la tua musica con cui volevo accompagnare quel tuo ultimo viaggio…
Cinque anni… e sembra solo ieri…. e sembra un’eternità!

Sai, per sopravvivere ci basta un sogno, mamma…

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